Le maschere di Romuald Hazoumé
“Ho restituito all’Ovest ciò che gli appartiene, ciò che la società dei consumi rifiuta e che ci invade ogni giorno” R.Hazoumé
E’ ciò che l’artista
beninese offre all’arte contemporanea dalla metà degli anni Ottanta con spirito
critico di denuncia, non poco graffiante, verso una società di consumo che tutto
divora e trasfigura.
Rinnovo il mio concetto di riuso nell’arte come sempre vivo e sono convinta che la plastica si
presta adeguatamente come materia prima più diffusa. E’ il “bidon” o tanica di
plastica usata generalmente per il trasporto di liquidi che Romuald impiega e
piega, scaldandola e donandole una nuova forma, una sorta di Art Brut
ragionata.
Nato nel 1962 in un clima biculturale diventa famoso con
opere come la Bouche du Roi (1997-2005) che viene esposta al bicentenario dall’abolizione
della schiavitù e acquistato dal British Museum di Londra.
Nelle sue
installazioni di mixed-media le forme da lui plasmate danno espressione nuova
ai temi più vivi e attuali della società moderna guardando sempre alla
tradizione africana di maschere magiche usate nei rituali Bambara, le
“tourbillon”, sotto le quali ne scaturisce l’audio di voci recitate da Yoruba,
Mahi and Wémé con i lamenti degli schiavi nelle navi dirette in America e nei
Caraibi.
Se i nostri primitivisti scrivevano di paradisi perduti in cui tornare a vivere una vita più vicina alla natura e più sana l’artista blocca i romantici sogni mostrandoci un’Africa non più così ingenua e genuina ma come un’estensione periferica dell’Occidente in cui le contrattazioni dei brokers di petrolio si sovrappongono ai magnifici tramonti africani. Le persecuzioni, lo sfruttamento, la violenza e tutti i mali del vecchio e nuovo mondo attraverso i colori vivaci delle maschere ci ricordano che nulla è perduto ma recuperabile attraverso l’arte di Hazoumé.
“I have given back to
the West that which belongs to them, the refuse of consumer society that
invades us every day” R.Hazoumé
Se i nostri primitivisti scrivevano di paradisi perduti in cui tornare a vivere una vita più vicina alla natura e più sana l’artista blocca i romantici sogni mostrandoci un’Africa non più così ingenua e genuina ma come un’estensione periferica dell’Occidente in cui le contrattazioni dei brokers di petrolio si sovrappongono ai magnifici tramonti africani. Le persecuzioni, lo sfruttamento, la violenza e tutti i mali del vecchio e nuovo mondo attraverso i colori vivaci delle maschere ci ricordano che nulla è perduto ma recuperabile attraverso l’arte di Hazoumé.
English version:
“I have given back to
the West that which belongs to them, the refuse of consumer society that
invades us every day” R.Hazoumé
This is what the beninese artist has been giving to contemporary art
since the mid-1980s, as a scathingly critical comment on a consumer society
that devours and transfigures everything. The concept of reuse in art is alive. I became convinced that
plastic is quite suitable as the most widely used raw material. Romuald uses
and bends the “bidons” or plastic containers generally used to carry liquids,
and heats them up to give them a new shape, making a kind of reasoned Art Brut.
He was born in 1962, grew up in a bicultural environment and became famous with
works such as ‘la Bouche du Roi’ (1997-2005) which was shown at the two-hundredth
anniversary of the abolition of slavery and bought by the British Museum in
London. The forms he creates in his mixed-media installations give new
expression to the liveliest and most topical themes of modern society, but have
an eye to the African tradition of the magic masks used in the Bambara rituals,
the “tourbillons”, from which we hear the recordings of recited Yoruba, Mahi
and Wémé names, with the laments of the slaves on ships heading for America and
the Caribbean. Whilst our primitivists wrote about lost paradises where people
could go back to nature and live healthier lives, this artist puts a stop to
these romantic dreams by showing us an Africa that is no longer so naive or
genuine, but is rather a peripheral extension of the West, where oil brokers’ negotiations
are superimposed onto wonderful African sunsets. Persecutions, exploitation, violence
and all the evils of the old and new worlds, evoked with the vivid colours of
the masks, remind us that nothing is lost but can be recovered through
Hazoumé’s art.