"WELL, LET'S HAVE ANOTHER LOOK!" incontro con Mark Bradford

"Well, let's have another look!" 

- incontro con Mark Bradford artista del Padiglione americano Domani è un altro giorno della LVII Biennale di Venezia



Medusa, installation view all'interno del Padiglione USA



Si è svolto un interessante incontro con l’artista californiano il 14 giugno scorso presso l’aula magna dell’Accademia di Belle Arti di Roma di cui riporto alcuni brani sulla sua biografia e sul ruolo dell’artista contemporaneo secondo la sua visione. La riflessione si sviluppa intorno alle condizioni necessarie per far sì che un artista possa intendersi tale nella società contemporanea e di quanto sia importante la sua formazione artistica per il raggiungimento del successo.    
Mark Bradford davanti al Padiglione americano

La parola successo suona stonata nella cultura dei nostri giorni come un fenomeno da baraccone o meglio ancora di meteora che può passare veloce senza lasciare alcuna traccia nei manuali di storia dell’arte. Una riflessione che sempre ha intrattenuto accademici e non nella cultura mondiale. Quanti nomi di artisti nascono e subito si dissolvono, eppure Lionello Venturi nella sua storia della Critica d’arte negli anni Sessanta chiudeva il suo libro ribadendo l’importanza della letteratura artistica come una testimonianza scritta della creazione umana senza la quale di nessun artista si avrebbe avuto memoria. Mark Bradford nasce nel 1961 in California. E’ un artista di colore fiero delle sue origini africane e lui stesso ci tiene a sottolineare a fine intervista, affrontando un tema che nessun presente avrebbe mai voluto toccare perché non pertinente. Ebbene, è l’Africa dei nuovi talenti creativi i quali stanno attirando il mercato dell’arte verso la loro nuova vena, quelli che io chiamo afroriciclanti non solo per i materiali di riciclo da essi impiegati ma soprattutto per l’iconografia che riflette i modelli occidentali discutendone le validità culturali, morali ed etiche, ormai perse nella loro primitiva spinta. Nomi come El Anatsui, Romuald Hazoumé, Shonibare, Kester Goncalo Mabunda, ecc.

Spoiled Foot, massa rossa, 2016 tecnica mista

Bradford viene contattato dall’allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, per rappresentare il suo paese alla Biennale e non è casuale la scelta. L’innovazione è questa, il linguaggio artistico è spiccatamente africano ed include quello che da tutti viene ancora chiamato terzo mondo. Un continente che vuole fortemente uscire da questa etichetta e che rivendica la sua complicata e dolorosa storia purtroppo ancora molto insanguinata. Certo è che tutto questo non sarebbe sicuramente accaduto se ci fosse stato il costruttore di muri, l’attuale presidente: Donald Trump.

Scritte AMENDMENT #5, 2014


Mark ha iniziato il suo percorso a trenta’anni non nel classico modo, ovvero attraverso una formazione artistica di tipo accademico, perché autodidatta; egli ha sentito l’esigenza di dar sfogo alla sua vocazione partendo dagli incendi che devastarono Los Angeles nel 1992. La città era stata ferita dal fuoco e bagnata dagli idranti aveva mostrato le sue ferite attraverso i muri sui cartelloni pubblicitari e nelle rovine di strade e interi quartieri. Il fuoco non aveva nemmeno risparmiato le ricche ville di Malibù o i quartieri più poveri. 

Sexy Cash, Murals of La Jolla, 2014



Se pensiamo a Mimmo Rotella forse non ha inventato nulla ma la sua tecnica di intreccio e di mescola acqua-carta con misteriosi fissanti la rendono nuova ed attraente, direi brillante. Alle domande degli studenti risponde sorridendo ma elude sapientemente le risposte come un cuoco stellato alla richiesta dell’ indicibile ingrediente. Mark inizialmente rimuove questi multistrati dai muri illegalmente così come stati affissi indossando il fratino giallo degli operatori ecologici come travestimento.


Il composto assorbe molto colore e così fa uso della sabbiatrice per rimuovere quello in eccesso, il tutto viene ricoperto da generose pennellate di olio di lino. Opere che si presentano effimere per la loro funzione, quella pubblicitaria, in opere d’arte più solide e che possono sopravvivere nel tempo e dalle intemperie. Bradford descrive la bellezza dei colori che magicamente si uniscono tra loro sul bianco del fondo e pensa: “Well, let’s have another look!” Secondo la sua opinione l’astrazione ai nostri giorni è stata decostruita ma non tutti sono riusciti a dare un’occhiata prima che la porta si chiudesse definitivamente. Accenna alla situazione politica americana, che si presenta come un nodo difficile da sciogliere, il suo paese attraversato da profonde crisi non solo economiche ma soprattutto sociali. E così nella sala del padiglione monta una struttura informe che grava sul pubblico come un grande cancer, tumore, fastidioso e incombente, il male attuale dell’umanità. Inizia come pittore poi come scultore. Ha lasciato gli USA otto anni fa per venire in Europa e quando arriva a Venezia si impegna nel sociale in una cooperativa che collabora con gli ex-detenuti nel programma di riabilitazione, aprono un negozio per la vendita di opere allo scopo di aiutare con i guadagni la piccola comunità con problemi di affido di minorenni, di orfani e genitori con problemi economici e di tanti altri che tale condizione accomuna. Una comunità che lo porterà ad aiutare anche le persone bisognose di Los Angeles.



Il consiglio che dispensa ai giovani artisti è di non cercare troppo in se stessi una profondità ma di aprirsi al mondo guardando fuori con coraggio e spirito esplorativo. Non bisogna mai pensare di avere raggiunto uno stile permanente e immutabile ma sperimentare e mettersi alla prova. Perché l’arte è come un terremoto che scuote il terreno e fa scivolare i nostri piedi. L’arte è comunicazione con il mondo. Il suo più grande cruccio è stato quello di non aver potuto registrare, documentare e archiviare i suoi lavori con più novizia di particolari per pigrizia o per mancanza di tempo.
Fino al 26 novembre prossimo.
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