Il Classico si fa pop. Di scavi, copie e altri pasticci


Il Classico si fa pop. Di scavi, copie e altri pasticci - Roma, Museo Nazionale Romano: Crypta Balbi e Palazzo Massimo - dal 14 dicembre 2018 al 7 aprile 2019.

Francesco Antonibon, Ritratto di Giovanni Volpato, XIX sec.,
olio su tela, cm 81x68
Bassano del Grappa,
Museo Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa

Roma che si sfoglia come un libro di storia e nelle sue pagine-strati si racconta: è così che l’archeologo Andrea Carandini descrive la città. Aggiungerei dicendo che i reperti sono preziosi fiori secchi dimenticati tra i suoi fogli. Secoli di vita stratificati che nel 2010 rivelano a Mirella Serlorenzi, allora funzionario della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, un tesoro di circa 12000 pezzi durante gli scavi di manutenzione in via Urbana 152, nel rione Monti. Si tratta di scarti di produzione di tazzine, piatti, piattini, statuine, tabacchiere, calamai, zuccheriere, portauovo, calchi e caselle per la cottura di quella che fu la fabbrica di biscuit di Giovanni Trevisan detto il Volpato (1732-1803). Una scoperta che finalmente svela il luogo di produzione dei noti souvenir che Volpato vendeva nel suo negozio nel quartiere degli Inglesi di Roma, nella zona compresa tra piazza di Spagna e il Tridente. Un imprenditore che seppe sfruttare e beneficiare dall’imitazione dell’antico per la propria attività di riproduzioni artistiche dalle stampe alle ceramiche più raffinate vendute ai facoltosi viaggiatori dei Grand Tour. Furono gli scavi di Ercolano del 1738, e dieci anni dopo Pompei, seguiti da quelli di Paestum, ad attirare ancor più il turismo nel nostro bel paese. La nascita della scienza archeologica a braccetto con l’estetica in cui il passato è sempre più attuale e presente. Il bello ideale è una necessità non solo stilistica ma rappresenta un modello filosofico e morale di vita. Roma rappresentava il centro dell’attività intellettuale europea in cui Antonio Canova dialogava di classicità nei salotti della pittrice Angelika Kauffmann in compagnia di Anton Raphael Mengs e Berthel Thorvaldsen.    
Antonio Canova,
 Modelletto origninale della stele funeraria di
Giovanni Volpato
, 1803-1804
gesso, cm 35x27
Roma, Galleria W.Apolloni
Agli inizi fu il turismo elitario, ritenuto importante per la formazione culturale dell’individuo, poi diverrà sempre più di massa, tanto da essere considerato da Antonio Paolucci come un pericoloso fenomeno del mordi e fuggi. Volpato nacque come ricamatore ma fu, come i grandi artisti, un personaggio eclettico: incisore, antiquario, collezionista, restauratore, ma soprattutto un mercante che trafficò in opere d’arte in un periodo in cui si ricercò con tenacia l’autentico, il primordiale, l’unico e l’originale. Fu amico del veneziano Giovanni Battista Piranesi, famosissimo per le sue vedute, urbane e non, e affascinato dall’antico creò luoghi e decorazioni immaginari, di fantasia e d’invenzione come i seducenti pastiche. Volpato imitò la scultura classica nelle piccole statuine per clienti eccellenti come il re di Svezia Gustavo III e incise e acquarellò le ventisei tavole in serie delle Logge di Raffaello in Vaticano per la cugina del sovrano, l'imperatrice Caterina II di Russia, fedelmente riprodotte a San Pietroburgo. Gli scavi in Italia erano regolati all’epoca da licenze ma con favori politici era facile ottenerle. Il traffico delle esportazioni era molto dinamico. Lo stesso Volpato si meravigliò del fatto che più scavava e più trovava reperti come di un tesoro inesauribile accrescendo sempre più la sua attività di mercante d’arte. Il Times del 27 ottobre del 1786 riportò la notizia dell’apertura della manifattura delle porcellane di Volpato a Roma, con tanto di listino prezzi e con la possibilità di produrre oggetti personalizzati su richiesta. Egli fu tra i primi ad investire sull’arte seriale e a capirne il valore economico e culturale attraverso la riproducibilità.
           

Giovan Battista Piranesi, Veduta ideale del bivio tra la Via Appia e la Via
Ardeatina
, da "Le Antichità romane" t.II, 1756, acquaforte,
cm. 39,5x64 Roma, Istituto Centrale per la Grafica



La mostra si svolge in due sedi: la Crypta Balbi e il Museo Massimo. Nella prima ci sono i veri e propri reperti e un prestito di grande effetto che il Museo di Bassano del Grappa ha concesso per questa esposizione, il Trionfo di Bacco e Arianna, il capolavoro dell’artista, composto da ben 98 pezzi per il neo ambasciatore veneto Pietro Donà.  Nel XVIII secolo i trionfi, o dessert, o sourtout o milieu de table erano molto in voga per la decorazione della tavola conviviale dei sovrani illuminati. Il corteo affollato di putti, teatranti, Baccanti danzanti, erme, coppe e il gruppo dell’Apollo Citaredo con nove muse era guidato dal carro di Arianna e Bacco sul modello di quello dei Carracci a Palazzo Farnese e ispirato agli originali del Museo Pio-Clementino (1771) dopo i ritrovamenti nella Villa detta di Cassio sulla via Tiburtina. 




Giovanni Volpato, Dessert di Bacco e Arianna,
centrotavola composto da 115 pezzi, 
cm. 250x150,
Bassano del Grappa,
Museo Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa

Nella seconda sede ci sono i motivi ispiratori della serialità artistica rappresentata dalle statue dei Discoboli, circa una ventina giunte ai nostri giorni di cui cinque in mostra come testimoni dell’uso standardizzato di opera d’arte non esclusiva ma pop, intesa come popolare, nel suo significato di conosciuta, tradizionale, famosa e diffusa, replicata nei luoghi pubblici e privati dell’urbe. Le mostre sono godibilissime nei percorsi ed offrono un’eccellente guida descrittiva dei ritrovamenti. A corredo preziosi oggetti da collezioni private; non mancano le opere di proprietà del Museo Nazionale Romano che ospita le esposizioni; alcune opere contemporanee completano la continuità del classico nella recente produzione artistica. 

Discobolo Lancellotti
da Roma, Villa Palombara, Esquilino
prima metà II sec. d.C.
marmo pario, altezza cm 155
Roma, Museo Nazionale Romano, 
Palazzo Massimo, inv. 126371

Il classico inteso come stimolo nella ricerca di una cultura comune, non più solo occidentale, a confronto con il mondo contemporaneo, uno stimolo creativo unito ad un ideale etico verso la formazione dell’uomo colto secondo un progetto pedagogico del termine. Nel Futuro del “classico” Salvatore Settis parla dell’importanza della figura di Winckelmann non solo per la sua affannosa ricerca dell’antico più antico, ma di come la democrazia, invenzione greca, fu alla base della rivoluzione francese e di come gli ideali di libertà furono in essa sviluppati. L’archeologia classica non è solo un ricco repertorio ma una risorsa della cultura globale, uno stile di vita. Il termine classico nelle forme e il gusto dell’antico nel Settecento divenne anticomanìa, ovvero l’ossessione per gli oggetti antichi, partendo dai modelli scultori e finendo nelle piccole copie da “mettere in valigia” come ricordo di un indimenticabile viaggio in Italia.


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gallery:

Antonio Canova, Venere con fauno, 1792
olio su tela. Prestito dal Museo Canova, Possagno (TV) e
Ermafrodito dormiente, metà del II sec.d.C.,
marmo lunense, Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo
credits Cristina Vatielli

allestimento in Crypta Balbi credits Cristina Vatielli

allestimento in Palazzo Massimo credits Cristina Vatielli
Giovanni Volpato, Vaso dallo scavo di Via Urbana
foto di Luciano .Mandato
Francesco Vezzoli, La nuova Dolce Vita (from the Triumph Paolina Borghese to Eva Mendes), 2009,
prova d'artista stampa inkjet su carta Photo Rag Ultra Smooth cornice d'artista 2 elementi cm. 156x100 ca ciascuno
courtesy of the artist
fotografia di Pasquale Abbattista


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