AFRICAN METROPOLIS UNA CITTA' IMMAGINARIA
AFRICAN METROPOLIS Una città immaginaria - Roma, MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo Via Guido Reni, 4A - dal 22.06.2018 al 04.11.2018
Sammy Baloji (Lubumbashi Repubblica Democratica del Congo, 1978), Ouakam Fractals, 2015-2018, stampa digitale su carta da parati courtesy: l'artista e /the artist and Galerie Imane Farès |
E’ passato un mese dalla
chiusura della mostra al MAXXI di Roma e non riesco a dimenticarla per
l’emozione che ha suscitato in me, per la vana speranza che da temporanea
potesse diventare permanente e per i temi sociali che ha toccato. L’emozione è
quella di sempre, vedere come alcuni dei cinquantaquattro stati, uniti sotto
l’unico nome di Africa, abbiano intrapreso con serio impegno l’attività
artistica contemporanea cogliendone aspetti nuovi e lanciandosi in imprese
prima impossibili. La tecnica del riuso di materiali riciclabili e di temi
nuovi e datati ma sempre attuali così come la rappresentazione della cultura
africana. La novità sta nel fatto che oggi la nostra cultura si sta avvicinando
sempre più a quella africana e che questa si stia invece, fortunatamente
evolvendo: ciò che intendo dire è che la nostra società sta tornando ad essere
verbale e per immagini, pigra insomma, mentre il modo di comunicare dal
continente nero sta diventando più sottile, diretto, aulico e a volte anche
concettualmente pragmatico. Il mio personale augurio è che anche a Roma e in
Italia si possa finalmente mostrare l’arte contemporanea africana in modo
stabile, fianco a fianco a quella internazionale, riconoscendole il giusto
posto, così come lo fanno già da anni il British a Londra e il Louvre a Parigi.
Abdoulaye Konaté (Diré Mali, 1953), Calao, 2016 tessuto. Courtesy: Bruno & Gael van Lierde Collection, Belgium |
La società è fatta di individui
e di gruppi che durante le epoche si sono avvicinati o respinti, è in questa
mostra che il confronto ha dato origine a molte riflessioni, prima fra tutte le
metropoli del mondo e la loro somiglianza, non solo estetica ma con tutti i
problemi ad esse connesse: emarginazione, inquinamento, salute pubblica,
violenza, povertà, emergenza dei rifiuti e sovraffollamento. Il sottotitolo
della mostra è Viaggio in una città che
non esiste per raccontare l’identità composita, eterogenea, stratificata della
metropoli contemporanea. Una città diversa ed uguale allo stesso tempo in
un’epoca di falsa globalizzazione
antropologica che di fatto non risulta realizzata, in cui come dice Marc Augé
esistono i non-lieux, spazi come il
vagone della metro, il supermercato, la stanza d’hotel – luoghi di transito ma
non di contaminazione. Individui che si sfiorano quotidianamente senza
entrare veramente in contatto tra loro, su binari paralleli mai coincidenti.
Franck ABD-Bakar Fanny (Abidjan Costa d'Avorio, 1970) Empty street - abducted- (MY NIGHTS ARE BRIGHTER THAN YOUR DAYS), 2016 stampa C-print, carta Lambda su dibond + diasec courtesy: l'artista |
La
globalizzazione si sposta su temi comuni di sfruttamento e di schiavitù non più
circoscritti in zone territoriali precise. Si accende così il dibattito quanto
mai attuale di tolleranza e del suo contrario e si aprono scorci sulla morale
verso temi politico-economici che i grandi della terra rifiutano di discutere
per vari motivi tra cui interessi, ignoranza ed incompetenza. Ciò che si avverte
visitandola è la morte dell’esotismo,
tanto amato da alcuni con il suo carattere di diversità mescolata al
colonialismo, al potere e all’esplorazione di mondi incontaminati: ebbene questa
assenza è già una vittoria sociale. Ngugi Wathiong’o invita a Decolonizzare la mente con il suo libro.
Il ruolo dell’etnologo come studioso di culture e società perde forse valore o
si rivolge verso nuove ricerche non più su ciò che divide ma su ciò che ci
unisce. Nell’arte tutto è concesso e
resta il punto di contatto universale attraverso il quale sussurrare o urlare
il proprio status e auspicare una vita migliore. Il planisfero accartocciato come
un vecchio giornale imbrattato di vernice e poi ritorto su se stesso una volta
spiegato è macchiato dello stesso colore in modo casuale: i motivi, i patterns,
i rizomi, le iconografie sparse un po' ovunque. Un testo che mi torna in mente,
in disuso dagli accademici contemporanei, è La
sociologia dell’arte di Hauser, un testo datato che risolve i tutti i
problemi con una facile operazione arte=società, ripreso per alcuni tratti
dallo stesso Argan, potrebbe spiegare la forza di queste opere in mostra, una
forza che si fa ben sentire. Cento opere per 34 artisti tra fotografia,
sculture, tessuti, installazioni e video. Sono stati presenti alcuni giovani
mediatori culturali che hanno illustrato le complesse dinamiche economiche che
si celano dietro alla mancata crescita produttivo-economica dei Paesi africani,
soprattutto dei cosiddetti decolonizzati. Tante le opere dai più celebri e
quotati come El Anatsui ai minori. Opere in cui si può entrare come il Labyrinth di Youssef Limoud, una sorta
di rovina di guerra collassata in cemento armato o in cui si resta spettatori
come nel video di Amina Zoubir, Prends Le
bus et regarde. Una mostra in cui ci si rendeva conto di come tutti questi
luoghi fossero ben conosciuti da tutti in una qualsiasi città del mondo
attuale. Un luogo metafisico senza coordinate geografiche né tempo. Mi aggiro per le strade per cercare di
comprendere il battito potente della città, per afferrarne il ritmo penetrante
e la risolutezza piena di vita. Quando cominci a udire questa cacofonia quasi
soverchiante, perdi il senso dell’orientamento e pian piano ti immergi
nell’ondata costante di contorsioni frenetiche. Akinbode Akinbiyl
Pefura (Parigi, 1967), Non stop city, 2016 installazione: catrame polimerico, legno e corda courtesy: l'artista |
Gli artisti in mostra:
Akinbode Akinbiyi, Heba Y. Amin ,El Anatsui, Joël Andrianomearisoa ,Abdulrazaq Awofeso,
Sammy Baloji, Bili Bidjocka, Mimi Cherono Ng'ok, Godfried Donkor, Franck
Abd-Bakar Fanny, Meschac Gaba, Lucas Gabriel, François-Xavier Gbré , Simon
Gush, Hassan Hajjaj, Nicholas Hlobo, Délio Jasse,Samson Kambalu, Kiluanji Kia
Henda, Abdoulaye Konaté, Lamine Badian Kouyaté (Xuly.Bët), Youssef Limoud
,Onyis Martin,Lavar Munroe, Hassan Musa, Paul Onditi, Maurice Pefura, Pascale
Marthine Tayou, Antoine Tempé, Andrew Tshabangu, Sarah Waiswa, Ouattara Watts,
James Webb, Amina Zoubir.
Kiluanji Kia Henda, (Angolan, 1978) Le Merchant de Venise, 2010, inchiostro stampato montato su alluminio courtesy: l'artista e Galleria Fonti, Napoli |
per maggiori info visita il sito
Galleria:
Hassan Musa (El Nuhud, 1951), La multiplication des éclairs au large de Lampedusa, 2016 inchiosro su tessuto courtesy: Galerie Maia Muller, Paris |
Ouattara Watts (Abidjan Costa d'Avorio, 1957), Vertigo #2, 2011 tecnica mista su tela e tessuto Courtesy: Collezione privata, New York |
Onyis Martin (Kisumi Kenya, 1987), 566 (PROTECTED AREA), 2016 acrilico su tela courtesy: l'artista e ARTLabAfrica |
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7 Abdulrazaq Awofeso, (Lagos Nigeria, 1978) Behind thi Ambiguity, 2015-2018 tecnica mista: legno, tessuto (120 pezzi) courtesy; Ikauru Africa e Thami Mnyele Foundation, Amsterdam foto da 1 a 7 |
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2 El Anatsui (Anyalo Ghana, 1944), Stressed World, 2011 scultura: filo di alluminio e rame riciclato courtesy: l'artista e Jack Shainman Gallery, New York foto 1 e 2 |
Mimi Cheron Ng'ok, (Nairobi Kenya, 1983) Untitled, 2014 stampa digitale su carta da parati courtesy: l'artista |